Il Sapiente, il Sacerdote e il Messia

Il Sapiente, il Sacerdote e il Messia

Tre tipologie ideali

Il Sapiente, il Sacerdote e il Messia, ciascuno di loro proponeva un modo diverso di vivere nella santità, insistendo su una visione di ciò che Dio si aspetta da Israele o promette al popolo ebraico:

• Gli scribi o sapienti (rabbini più tardi), prendevano come centro per la Torah.

• I sacerdoti avevano come riferimento il Tempio.

• Le persone che speravano nell'imminente venuta del Messia, mettevano in primo

piano la questione della salvezza.

 

Ma non bisogna immaginare che, i vari sistemi simbolici ai quali ricorriamo, si potessero trovare allo stato puro e non miscelati, ciascuno con il proprio tipo di pietà, di fede, di rappresentazione religiosa.

 

- Lo schema messianico implicava ciò di cui il prete e il saggio non si preoccupavano minimamente: un'attenzione al mondo esterno, alla società, alla nazione, alla storia.

 

- Il sacerdote considerava il mondo al di fuori del Tempio come meno santo, dunque profano e quindi impuro. La vita si trovava se non in Israele, più precisamente nel tempio. A prescindere da ciò all'orizzonte, non vi erano che paesi vuoti e dei popoli morti che insieme formavano un deserto indifferenziato. A partire da un tale punto di vista sul mondo, non si poteva sviluppare alcuna dottrina riguardante l'esistenza di Israele fra le nazioni, questo non avrebbe avuto alcun interesse per la storia reale della nazione nè alcun significato per il passato e per il futuro.

 

- Il sapiente doveva esprimere la sapienza, quindi qualcosa che valeva sia per i Gentili che per Israele. La sapienza è la natura delle cose. Essa non può essere influenzata dai grandi movimenti della storia.

 

Una scelta

Questi tre approcci all'esistenza umana che esprimono simbolicamente il culto, la Torah o il Messia, esigono una scelta. I racconti della guerra del 66-73 insistono sul modo in cui i sacerdoti avvertirono i messianici di non mettere in pericolo il Tempio. I sapeinti posteriori, i rabbini talmudici, non onorarono se non in maniera minima le lotte, le battaglie messianiche di Bar Kokhba, e dopo il 70, reclamarono il diritto di dire ai sacerdoti ciò che avrebbero dovuto fare [1].

 

Storia e vita privata, tempo ed eternità

Dopo il 70, davanti agli avvenimenti che provocarono il crollo di un mondo, non ci troviamo davanti ad una passività fatta viltà e stanchezza, ma davanti all'elaborazione di un nuovo modo di essere.

 

Al momento, si trattava di un nuovo modo di concepire il senso ultimo degli eventi senza fare riferimento alla storia. Le nazioni della terra pensano essere loro a ‘fare' la storia e che ciò che fanno abbia una qualche rilevanza. Ma Israele sa che è Dio la fa e che la storia è la realtà modellata in risposta alla sua volontà.

 

Questo modo di concepire il tempo e lo svolgersi degli eventi costituisce il centro della visione della tradizione sacerdotale successivamente prolungato nel giudaismo rabbinico. Questa visione della vita di Israele, insistendo sulla continuità e la struttura e non promettendo cambiamento se non al termine, rappresenta l'unione delle due tendenze: una che è simboleggiato dall'altare, e una che è rappresentata dal rotolo della Torah, quella del sacerdote e quella del sapiente.

 

Da un lato la via storico-messianica, che metteva l'accento sull'importanza degli avvenimenti e rifletteva sul loro peso e significato.

Dall'altro, la via meta-storica, rabbinica o sacerdotale, che insisteva sulla realizzazione di un stile di vita eterno e immutabile, che avrebbe impedito di essere travolti dalle onde della storia.[2]

 


[1] Jacob Neusner, Le judaïsme à l'aube du christianisme, Cerf, Paris 1986, p. 49-56

[2] Jacob Neusner, Le judaïsme à l'aube du christianisme, Cerf, Paris 1986, p. 57-62

 

Jacob Neusner, (autore ebreo)